martedì 29 maggio 2012

La dolce frugalità del Kheer

La ricetta di un dolce tipico del Wesak

Nel giorno di Wesak anche il consumo di cibo è all'insegna della frugalità. Varie pietanze vengono dispensate presso le bancarelle che si trovano in gran numero in ogni città, ma ciò che viene distribuito deve rispettare determinati precetti religiosi. Per tutta la durata del Wesak non è possibile consumare cibo non vegetariano e nemmeno bevande alcoliche. Tra le pietanze maggiormente distribute presso i dandal troviamo il Kheer, riso cotto nel latte. Il Kheer non contiene ingredienti molto costosi: è un piatto semplice che rappresenta il valore della frugalità che segna la giornata di Wesak. Inoltre il colore bianco del riso rappresenta il rispetto per Buddha.
La preparazione del piatto è estremamente semplice. 
Ingredienti   
                                                                         
- 1L. latte;
- 60 gr. di riso;
- un pizzico di sale;
- 4 bacche di cardamomo;
- 30 gr. di mandorle;
- un pizzico di zafferano sciolto nel latte caldo;
- 15 gr. di pistacchi tritati;
- 15 gr. di uva passa;
- 15 gr. di zucchero.

Procedura

In una pentola mescolate il latte, il riso, il sale e il cardamomo. Quindi lasciate bollire il tutto a fuoco lento per un'ora circa finché il latte non si sarà ridotto alla metà. Togliete il cardamomo. Aggiungete lo zucchero, i pistacchi, le mandorle, lo zafferano e l'uva passa mescolando bene. Versate il dolce in un piatto piano e servitelo freddo o a temperatura ambiente.

mercoledì 23 maggio 2012

I riti del Wesak

La meditazione e gli otto precetti 

Nel giorno di Wesak i buddhisti si dedicano alla meditazione e all'osservazione di otto precetti. Indossano una semplice veste bianca e prima dell'alba si recano al tempio per assistere all'esposizione della bandiera buddhista. La cerimonia è accompagnata dai canti degli inni in onore dei tre gioielli: Buddha, il Dhamma (l'insegnamento di Buddha) e i Sangha (i discepoli di Buddha). 
La meditazione è guidata dai monaci che recitano i versi del Buddha per invocare pace e felicità per il governo e per i cittadini. Inoltre essi ricordano ai fedeli l'importanza di vivere nell'armonia e nel rispetto del pensiero altrui e delle credenze religiose degli altri popoli. 
I fedeli portano al tempio fiori, candele e bastoncini d'incenso come offerte da porre ai piedi della statua dell'Illuminato. Si tratta di offerte simboliche volte a rammentare la natura effimera dell'esistenza. Infatti, i fiori sono destinati ad appassire, le candele si consumano rapidamente e i bastoncini d'incenso si dissolvono in pochi istanti. 
Inoltre, durante il Wesak, i buddhisti devono osservare otto precetti, i quali sono:


  1. Non uccidere;
  2. Non rubare;
  3. Non compiere atti sessuali illeciti;
  4. Non dire menzogne;
  5. Non assumere bevande inebrianti e droghe;
  6. Non assumere cibo in tempi non dovuti;
  7. Astenersi da piaceri immorali e illeciti;
  8. Non utilizzare sedie alte e lussuose nel rispetto del precetto dell'umiltà.

martedì 15 maggio 2012

Illuminazione e morte

Il cammino verso la salvezza è solitario e impervio

Siddharta si sedette sotto un fico sacro, anche chiamato albero della Bodhi ed iniziò a meditare. Nel pensiero iniziò quindi a combattere con Mara, un demone il cui nome significa "distruzione" e rappresenta le passioni di cui siamo prigionieri e che ci deludono. Mara tentò Siddharta con armate di terribili mostri, ma non riuscì a scalfirlo. Persino la più bella figlia di Mara cercò di sedurre Siddharta, ma anche questo tentativo fallì.

Infine, Mara dichiarò che solo lui era riuscito a raggiungere l'Illuminazione e che a lui spettava il titolo di "Illuminato". I mostri di Mara lo sostennero dichiarandosi suoi testimoni e Mara chiese a Siddharta se questi avesse dei testimoni per provare di aver raggiunto l'illuminazione. Siddharta stese il braccio destro per toccare la terra e questa tremò. "Tu sarai mio testimone" disse Siddharta e in quel momento la luce del mattino si alzò in cielo e Siddharta Gauthama comprese di aver raggiunto l'Illuminazione e di essere diventato un Buddha.

All'inizio Buddha non voleva diventare un maestro, perché sapeva che ciò che lui aveva compreso non era trasmissibile a parole. Soltanto la disciplina e una mente sgombra avrebbero dissolto le delusioni terrene e permesso ad un uomo di sperimentare direttamente la Grande Realtà. Ma mosso da compassione, Buddha decise di tentare la via dell'insegnamento. Dopo l'illuminazione si recò nel parco di Isipatana, dove tenne il sermone chiamato Dhammacakkappavattana Sutta, incentrato sulle Quattro Nobili Verità. Invece di parlare della sua illuminazione, Buddha decise di suggerire un cammino da seguire per permettere ad ognuno di raggiungere l'illuminazione.

Successivamente fece ritorno al palazzo reale, dove si riconciliò col padre. Sua moglie divenne sua seguace e suo figlio monaco. Buddha viaggiò per molti anni fino alla sua morte all'età di 80 anni. Le sue ultime parole furono "Ascoltate, o monaci, questo è il mio ultimo consiglio. La caducità appartiene a tutte le cose terrene. Esse non durano. Impegnatevi strenuamente per ottenere la vostra salvezza."

mercoledì 2 maggio 2012

Il cammino verso l'illuminazione

La liberazione dal dolore e dalla paura

Buddha crebbe nel sontuoso palazzo di famiglia, circondato da sfarzo e ricchezza. Raggiunse l'età di 29 anni senza avere esperienza del mondo al di fuori delle mura del proprio castello. Un giorno, mosso da curiosità, il principe chiese ad uno dei suoi servi di portarlo con il suo carro a visitare la campagna. Durante il viaggio Siddharta rimase scioccato alla vista di un vecchio, di un malato e di un cadavere. Vecchiaia, malattia e morte sconvolsero profondamente il principe. Infine vide un asceta errante. Il servo spiegò al principe che l'asceta aveva rinunciato a tutto alla ricerca della liberazione dalla paura, dalla sofferenza e dalla morte.


Il principe fece ritorno al palazzo meditando su ciò che aveva visto. Giorno dopo giorno si rese conto che non era più possibile per lui continuare a vivere nel lusso, che ora gli appariva grottesco. Nemmeno la moglie Yasodhara e il figlio riuscivano a dargli felicità. Una notte, dopo una festa, Siddharta si trovò a vagare da solo per le stanze del suo palazzo. Improvvisamente decise che era giunto per lui il momento di abbandonare per sempre la sua vita principesca. Quella notte si rasò la testa, indossò una veste da mendicante e abbandonò il castello. Iniziò così il suo cammino verso l'illuminazione.

Prima si rivolse a dei maestri illustri, che lo istruirono su numerose filosofie religiose e gli insegnarono a meditare. Niente di tutto questo però riuscì a sollevare suoi dubbi e le sue domande e quindi lui ed altri cinque discepoli decisero di cercare da soli la via dell'illuminazione. I sei compagni cercarono quindi di liberarsi dalla sofferenza tramite una rigida disciplina corporea: sopportare il dolore, trattenere il respiro, digiunare. Ma questo non soddisfaceva ancora Siddharta, che capì che la risposta ai suoi interrogativi giaceva a metà tra i due estremi, rappresentati dai due stili di vita che aveva sperimentato fino ad allora.

Improvvisamente gli tornò in mente un'esperienza fatta nell'infanzia, quando era riuscito a raggiungere una profonda pace mentale. La via per la liberazione consisteva nella disciplina del pensiero. Comprese che aveva bisogno di nutrire adeguatamente il proprio corpo per disporre della forza necessaria alla meditazione. Ma quando accettò una ciotola di riso da una ragazza, i suoi compagni pensarono che egli avesse deciso di abbandonare la sua ricerca e lo abbandonarono.